La tastiera infinita: perché il referendum non ha raggiunto il quorum


“E dentro quegli 88 tasti, la musica che puoi fare è infinita. Ma se io salgo su quella scaletta e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti… Quella tastiera è infinita. Ma se quella tastiera è infinita, allora su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare.”
È una battuta tratta dal monologo del pianista sull’oceano, scritta da Alessandro Baricco. Per me, è anche la spiegazione del perché oggi, troppo spesso, ci ritiriamo. Rinunciamo. Non partecipiamo.
Nella finitezza degli 88 tasti e della sua vita il pianista trova l’infinita creatività. Ma davanti alla una tastiera senza fine della vita reale, oltre la scaletta, resta paralizzato.
Quindi alla metafora delle infinite possibilità entro i limiti (di vita e degli 88 tasti) si aggiunge quella della paralisi di fronte alla mancanza di limiti.
Perchè questa bassa affluenza?
Non è mancata la promozione, non è mancata la comunicazione. È mancata l’attenzione. Non per disinteresse, ma per eccesso.
Viviamo in una tastiera infinita. Un flusso costante di notifiche, contenuti, video, opinioni, polemiche, meme, podcast, serie, newsletter, realtà virtuali. Lo scrolling infinito è la nostra nuova passeggiata. E dentro questo flusso, un tema importante come un referendum diventa solo una goccia — tra mille.
Come Novecento, che davanti a una tastiera senza fine della vita reale resta paralizzato, anche noi, davanti a questa complessità senza limiti, reagiamo con una forma di ritiro.
Non è disinteresse: è sovraccarico.
Il troppo ci spegne. L’eccesso di stimoli genera ansia e stress.
La costante esposizione a informazioni, scelte, opinioni contrastanti crea una sensazione di essere sopraffatti, come se ogni nostro gesto, ogni decisione, ogni presa di posizione fosse solo una delle infinite opzioni possibili, tutte ugualmente marginali.
E così si verifica un paradosso: abbiamo accesso a tutto, ma partecipiamo a sempre meno.
In psicologia si parla di decision fatigue, fatica decisionale. Quando troppe scelte si affollano, l’unico modo per sopravvivere è rinunciare a scegliere.
Quando troppe urgenze ci circondano, anche ciò che è importante — come un referendum — perde rilevanza.
La rinuncia non è apatia, è autodifesa. Non voglio giustificare l’astensionismo. Ma lo voglio capire.
Credo che il nostro tempo ci stia chiedendo di imparare qualcosa di nuovo: come ritrovare senso, dentro una realtà sovraccarica.
Come tornare a scegliere. A votare. A essere presenti.
Non perché ci sia poco da vedere, ma perché — anche nel troppo — possiamo trovare il nostro ritmo, il nostro spazio, la nostra musica. Per trovare senso nel nostro agire. Per riconoscere, nel caos, le poche cose veramente importanti. Come Novecento con i suoi 88 tasti: finiti, ma sufficienti per creare l’infinito.
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